Sapete, voi SUBnormali,
descrivere esattamente cosa è una bolla?
........pausa di riflessione……
risposta: "che balle.....una bolla è.....una bolla!!".
In effetti una bolla è facile da immaginare ma ben più difficile da descrivere. Per l'attività subacquea si può definire come "una raccolta di gas di forma sferica che si forma nei liquidi del corpo umano durante la decompressione", non va ancora bene, ritentate.
Altra domanda: perché i subacquei temono le bolle?
E qui la vostra risposta è immediata…."le bolle causano la malattia da decompressione", va bene, un punto a favore ma proseguo con un'altra domanda:
Quando si formano le bolle?
E la risposta più probabile è: "le bolle si formano quando non si rispetta la velocità massima di risalita e quando si saltano le tappe di decompressione." non è del tutto sbagliato ma troppo generico.
Sono in molti a pensare che rispettando le tabelle o le indicazioni del computer si evita la formazione delle bolle e che queste si generano solo in seguito ad un errore. Del resto su questo presupposto sono basate le tabelle U.S. Navy (elaborate inizialmente dal professor Haldane) e sulla maggior parte dei computer in commercio basati sui programmi del professor Buhlmann o citati con il termine "Haldane modificato", ai quali affidiamo la nostra decompressione.
Un altro dubbio affiora, perché mai se ci immergiamo in coppia e facciamo lo stesso errore in risalita l'eventuale incidente può, molto probabilmente, non colpire entrambi oppure colpire in maniera differente?, un altro dubbio, se le bolle bloccano il passaggio del sangue, il danno si dovrebbe manifestare subito, visto che i tessuti a valle dell'ostruzione soffrono immediatamente per la carenza di ossigeno e zuccheri. Invece, sempre l'esperienza insegna, che la malattia da decompressione (MDD) si può manifestare nelle 24 ore successive all'immersione o anche oltre, perché?
Per rispondere a tutte queste domande partiamo in un viaggio immaginario dove visualizzeremo la nascita, la crescita ed il destino delle bolle nell'organismo durante un'immersione.
Il viaggio inizia con la loro formazione che avviene al momento del distacco dal fondo e termina circa quattro ore dopo il ritorno in superficie, il tempo trascorso in discesa e sul fondo non incide sulla formazione delle bolle.
Appena incominciamo a risalire, si riduce la pressione esterna sull'organismo e l'azoto, accumulato durante il tempo di permanenza sul fondo, fuoriesce dai tessuti per passare al sangue. Solo il 10% dell'azoto liberato dai tessuti contribuisce allo sviluppo delle bolle, mentre il restante 90% rimane liberamente disciolto nel sangue e, quando raggiunge i polmoni, viene liberato con la respirazione.
C'è una considerazione da fare; è che parliamo di percentuale, quindi è normale che nelle immersioni "facili" si libera poco azoto, ed il 10% di poco è quasi niente!
Nell'immersioni "impegnative" (profonde, ripetitive, multiday) si libera molto azoto ed il 10% di molto è qualcosa che non si può trascurare.
Seguiamo il viaggio delle bolle; anche adesso, mentre leggete l'articolo, nel vostro sangue ci sono delle piccole bolle (microbolle o bolle silenti)di nessun effetto negativo per l'organismo, con un diametro inferiore a 10 micron (un micron è mille volte più piccolo di un millimetro). In immersione, quando iniziate la risalita, quel 10% dell'azoto che si è liberato dai tessuti, bussa alla parete delle microbolle e cerca di entrarvi dentro per scroccare un passaggio verso i polmoni. La microbolla però si oppone all'ingresso dell'azoto, visto che la poverina ha sudato sette camicie per raggiungere un delicato equilibrio.
Difatti per un fenomeno ben conosciuto dai fisici (legge di Laplace) e dai bambini (bolle di sapone), le bolle troppo piccole collassano e quelle troppo grandi scoppiano. L'azoto però è prepotente ed alla fine riesce a superare la resistenza della parete ed entra dentro la microbolla che diventa bolla a tutti gli effetti.
Lungo il viaggio verso il polmone, nel sangue venoso, la nostra bolla incamera altro azoto che fuoriesce dai tessuti oppure si unisce con altre bolle per diventare sempre più grande, a volte la bolla diventa troppo grande e……bum!! Si rompe. In alcuni casi nascono delle bolle figlie più piccole, che continuano la loro corsa verso il polmone. Arrivata qui la nostra bolla entra in un filtro di piccoli vasi (capillari) che trattengono le bolle più grandi di 10 micron, siamo al capolinea. L'azoto esce dalla bolla ormai bloccata e passa negli alveoli, la parte più piccola del polmone, per essere scaricato all'esterno con la prima espirazione. Il viaggio dell'azoto è iniziato al momento del distacco dal fondo con la liberazione dei tessuti, si è accelerato nel sangue venoso grazie al passaggio scroccato alle bolle e finisce con la scintillante ascesa ,verso la superficie del mare, delle bolle che fuoriescono dal nostro erogatore, l'azoto è finalmente libero nell'aria, pronto per essere nuovamente respirato.
Tutto qui? …..per fortuna si, di solito la storia è a lieto fine.
Quando però l'immersione è impegnativa o c'è un errore in decompressione, le bolle che arrivano al polmone sono tante e grosse; può succedere che la bolla venga riconosciuta come un nemico da nostro sistema immunitario ed attaccata. Peggio ancora se la grossa e goffa bolla malauguratamente gratta la parete di un vaso sanguigno e lo danneggia: si liberano delle sostanze chimiche che provocano un'infiammazione. I segni sono quelli classici della malattia da decompressione: rossore, gonfiore, dolore, difficoltà a muovere la parte danneggiata. Non c'è un rapporto diretto tra la quantità o la dimensione della bolla ed il danno. In genere è più pericolosa la grandezza delle bolle che non il loro numero.
Le probabilità di incorrere in un incidente da decompressione supera il 3% (le tabelle U.S. Navy per le immersioni quadre hanno, in media, un rischio del 2,2%) quando il diametro delle bolle supera i 120 micron nelle immersioni entro i 30 metri di profondità, o gli 80 micron nelle immersioni oltre i 30 metri.
Immergersi spesso (più di 40 immersioni per anno) comporta uno schiacciamento delle microbolle e quindi si riduce "l'innesco" per la formazione delle bolle grandi. Inoltre i corallari, molto prima che venissero conosciuti i meccanismi che portavano alla malattia da decompressione, avevano già imparato ad utilizzare alcuni accorgimenti che aumentavano la sicurezza dell'immersione: discesa rapida (almeno 20 metri al minuto), distacco lento dal fondo, perché è in questo momento che si formano le prime bolle, tappe di decompressione profonde che servono a scaricare un po’ di azoto, negli ultimi 15 metri risalita molto lenta. Riconosciuto ciò, non c'è dubbio però che non esiste l'immunità dall'incidente da decompressione. E' soltanto un problema di statistica, quale rischio siete disposti ad accettare? Numeri tipo 2%, 3%, 5% di fatto non ci dicono nulla. E' più interessante prevedere quali saranno le 2,3,5 immersioni su 100 nelle quali si potrebbe avere un problema, i ricercatori ci stanno ancora lavorando, …..comunque buone immersioni a tutti.
Notizie tratte da un articolo di Pasquale Longobardi
descrivere esattamente cosa è una bolla?
........pausa di riflessione……
risposta: "che balle.....una bolla è.....una bolla!!".
In effetti una bolla è facile da immaginare ma ben più difficile da descrivere. Per l'attività subacquea si può definire come "una raccolta di gas di forma sferica che si forma nei liquidi del corpo umano durante la decompressione", non va ancora bene, ritentate.
Altra domanda: perché i subacquei temono le bolle?
E qui la vostra risposta è immediata…."le bolle causano la malattia da decompressione", va bene, un punto a favore ma proseguo con un'altra domanda:
Quando si formano le bolle?
E la risposta più probabile è: "le bolle si formano quando non si rispetta la velocità massima di risalita e quando si saltano le tappe di decompressione." non è del tutto sbagliato ma troppo generico.
Sono in molti a pensare che rispettando le tabelle o le indicazioni del computer si evita la formazione delle bolle e che queste si generano solo in seguito ad un errore. Del resto su questo presupposto sono basate le tabelle U.S. Navy (elaborate inizialmente dal professor Haldane) e sulla maggior parte dei computer in commercio basati sui programmi del professor Buhlmann o citati con il termine "Haldane modificato", ai quali affidiamo la nostra decompressione.
Un altro dubbio affiora, perché mai se ci immergiamo in coppia e facciamo lo stesso errore in risalita l'eventuale incidente può, molto probabilmente, non colpire entrambi oppure colpire in maniera differente?, un altro dubbio, se le bolle bloccano il passaggio del sangue, il danno si dovrebbe manifestare subito, visto che i tessuti a valle dell'ostruzione soffrono immediatamente per la carenza di ossigeno e zuccheri. Invece, sempre l'esperienza insegna, che la malattia da decompressione (MDD) si può manifestare nelle 24 ore successive all'immersione o anche oltre, perché?
Per rispondere a tutte queste domande partiamo in un viaggio immaginario dove visualizzeremo la nascita, la crescita ed il destino delle bolle nell'organismo durante un'immersione.
Il viaggio inizia con la loro formazione che avviene al momento del distacco dal fondo e termina circa quattro ore dopo il ritorno in superficie, il tempo trascorso in discesa e sul fondo non incide sulla formazione delle bolle.
Appena incominciamo a risalire, si riduce la pressione esterna sull'organismo e l'azoto, accumulato durante il tempo di permanenza sul fondo, fuoriesce dai tessuti per passare al sangue. Solo il 10% dell'azoto liberato dai tessuti contribuisce allo sviluppo delle bolle, mentre il restante 90% rimane liberamente disciolto nel sangue e, quando raggiunge i polmoni, viene liberato con la respirazione.
C'è una considerazione da fare; è che parliamo di percentuale, quindi è normale che nelle immersioni "facili" si libera poco azoto, ed il 10% di poco è quasi niente!
Nell'immersioni "impegnative" (profonde, ripetitive, multiday) si libera molto azoto ed il 10% di molto è qualcosa che non si può trascurare.
Seguiamo il viaggio delle bolle; anche adesso, mentre leggete l'articolo, nel vostro sangue ci sono delle piccole bolle (microbolle o bolle silenti)di nessun effetto negativo per l'organismo, con un diametro inferiore a 10 micron (un micron è mille volte più piccolo di un millimetro). In immersione, quando iniziate la risalita, quel 10% dell'azoto che si è liberato dai tessuti, bussa alla parete delle microbolle e cerca di entrarvi dentro per scroccare un passaggio verso i polmoni. La microbolla però si oppone all'ingresso dell'azoto, visto che la poverina ha sudato sette camicie per raggiungere un delicato equilibrio.
Difatti per un fenomeno ben conosciuto dai fisici (legge di Laplace) e dai bambini (bolle di sapone), le bolle troppo piccole collassano e quelle troppo grandi scoppiano. L'azoto però è prepotente ed alla fine riesce a superare la resistenza della parete ed entra dentro la microbolla che diventa bolla a tutti gli effetti.
Lungo il viaggio verso il polmone, nel sangue venoso, la nostra bolla incamera altro azoto che fuoriesce dai tessuti oppure si unisce con altre bolle per diventare sempre più grande, a volte la bolla diventa troppo grande e……bum!! Si rompe. In alcuni casi nascono delle bolle figlie più piccole, che continuano la loro corsa verso il polmone. Arrivata qui la nostra bolla entra in un filtro di piccoli vasi (capillari) che trattengono le bolle più grandi di 10 micron, siamo al capolinea. L'azoto esce dalla bolla ormai bloccata e passa negli alveoli, la parte più piccola del polmone, per essere scaricato all'esterno con la prima espirazione. Il viaggio dell'azoto è iniziato al momento del distacco dal fondo con la liberazione dei tessuti, si è accelerato nel sangue venoso grazie al passaggio scroccato alle bolle e finisce con la scintillante ascesa ,verso la superficie del mare, delle bolle che fuoriescono dal nostro erogatore, l'azoto è finalmente libero nell'aria, pronto per essere nuovamente respirato.
Tutto qui? …..per fortuna si, di solito la storia è a lieto fine.
Quando però l'immersione è impegnativa o c'è un errore in decompressione, le bolle che arrivano al polmone sono tante e grosse; può succedere che la bolla venga riconosciuta come un nemico da nostro sistema immunitario ed attaccata. Peggio ancora se la grossa e goffa bolla malauguratamente gratta la parete di un vaso sanguigno e lo danneggia: si liberano delle sostanze chimiche che provocano un'infiammazione. I segni sono quelli classici della malattia da decompressione: rossore, gonfiore, dolore, difficoltà a muovere la parte danneggiata. Non c'è un rapporto diretto tra la quantità o la dimensione della bolla ed il danno. In genere è più pericolosa la grandezza delle bolle che non il loro numero.
Le probabilità di incorrere in un incidente da decompressione supera il 3% (le tabelle U.S. Navy per le immersioni quadre hanno, in media, un rischio del 2,2%) quando il diametro delle bolle supera i 120 micron nelle immersioni entro i 30 metri di profondità, o gli 80 micron nelle immersioni oltre i 30 metri.
Immergersi spesso (più di 40 immersioni per anno) comporta uno schiacciamento delle microbolle e quindi si riduce "l'innesco" per la formazione delle bolle grandi. Inoltre i corallari, molto prima che venissero conosciuti i meccanismi che portavano alla malattia da decompressione, avevano già imparato ad utilizzare alcuni accorgimenti che aumentavano la sicurezza dell'immersione: discesa rapida (almeno 20 metri al minuto), distacco lento dal fondo, perché è in questo momento che si formano le prime bolle, tappe di decompressione profonde che servono a scaricare un po’ di azoto, negli ultimi 15 metri risalita molto lenta. Riconosciuto ciò, non c'è dubbio però che non esiste l'immunità dall'incidente da decompressione. E' soltanto un problema di statistica, quale rischio siete disposti ad accettare? Numeri tipo 2%, 3%, 5% di fatto non ci dicono nulla. E' più interessante prevedere quali saranno le 2,3,5 immersioni su 100 nelle quali si potrebbe avere un problema, i ricercatori ci stanno ancora lavorando, …..comunque buone immersioni a tutti.
Notizie tratte da un articolo di Pasquale Longobardi
4 commenti:
il mio modesto parere è senza ombra di dubbio questo:
cercare di attenersi alle dovute procedure del caso,
non fare i supereroi ed essere sempre il più conservativi possibile!!
per me la casistica è spesso discutibile!!
complimenti per il post Bussola...ciao!!
Molto carina la spiegazione della dinamica della creazione delle bolle.
Una cosa importante che ho letto anch'io è che più si va in acqua e meno si rischia, non solo perchè aumenta l'esperienza e l'abilità, ma anche perchè in nostro organismo si adatta a gestire meglio i problemi transitori che generano gli ambienti iperbarici sul nostro corpo.
Io non lo sapevo e mi fà piacere che sia così;dai è venuto il tempo della stagna e....chi si ferma è perduto.
Tutti in mare anche in inverno,un tuffo a settimana ,56 immersioni l'anno,siamo oltre la soglia per l'innesco delle bolle.
Come scusa per le gentili consorti andrà bene?
voi andate in mare d'inverno,io mi diverto a 30 gradi in piscina con i miei girini,neofiti corsisti.è allenamento anche questo.
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